
Disturbo post-traumatico da stress: dalla clinica alla genetica
Di fronte ad un pericolo è naturale avere paura. Tale paura permette al corpo di prepararsi a difendersi contro il pericolo o ad evitarlo. Questa risposta, definita di “attacco o fuga”, è una reazione generalmente protettiva ma nel disturbo post-traumatico da stress risulta cronicamente attivata e disregolata. Le persone affette da tale disturbo possono sentirsi stressate o spaventate, anche quando non sono più in pericolo.
Il disturbo post-traumatico da stress si sviluppa in seguito ad un danno fisico, alla minaccia di danno fisico oppure quando il soggetto assiste ad un evento dannoso accaduto ad altri. Il disturbo è stato portato all’attenzione in seguito alla diffusione nei veterani di guerra del Vietnam. Oggi si verifica in seguito ad una varietà di eventi traumatici: rapine, stupri, torture, violenze domestiche, sequestri di persona, abusi sui minori, incidenti, bombardamenti, disastri naturali.
Vengono riferiti sintomi come marcata ansia, flashback, sensazione di rivivere l’esperienza traumatica, pensieri intrusivi, incubi notturni, irritabilità, difficoltà di concentrazione, distacco affettivo, incapacità di ricordare aspetti importanti della propria vita e sintomi di evitamento di luoghi, persone o situazioni che ricordano l’esperienza traumatica. La durata dei sintomi è generalmente maggiore di un mese. In alcuni casi può superare i 6 mesi.
L’autolesionismo sembrerebbe molto diffuso nelle donne vittima di violenza sessuale affette da disturbo post-traumatico da stress, ciò è quanto emerge da studi su donne afroamericane violentate dai propri partner. Su 197 donne esaminate, con storia di violenza, 60 (il 31%) hanno presentato comportamenti autolesionistici. Tali comportamenti aumentavano in relazione alla severità fisica e psicologica della violenza subita, alla severità del disturbo post-traumatico da stress (Weiss et al., 2014).
La presenza di un disturbo cronico comporterebbe secondo numerose ricerche un aumentato rischio di dipendenza da alcol e da sostanze stupefacenti. L’utilizzo cronico di alcol, inoltre, porterebbe ad un peggioramento della sintomatologia. Ciò sembrerebbe dimostrato anche da studi neurobiologici in quanto l’uso di alcol ridurrebbe ulteriormente il volume dell’ippocampo, una formazione cerebrale situata nel lobo temporale, utile nella regolazione delle emozioni, già compromessa durante l’insorgenza del disturbo post-traumatico da stress (Starcevic et al., 2015).
Le disfunzioni mitocondriali sembrerebbero delle componenti riconosciute nella patogenesi dei disturbi mentali stress correlati. I mitocondri sono degli organuli cellulari che contengono gli enzimi necessari alla produzione di energia per le cellule. Analizzando 978 polimorfismi mitocondriali di un singolo nucleotide in un campione di 1238 individui (suddivisi in non affetti da disturbo post-traumatico da stress, affetti parzialmente da tale disturbo, affetti pienamente da tale disturbo) si è riscontrata un’associazione significativa tra i pazienti affetti da disturbo postraumatico e due polimorfismi: quello per la subunità 8 dell’enzima adenosina trifosfato sintetasi e quello per la subunità 5 dell’ NADH deidrogenasi (Flaquer et al., 2015).
Data la complessità del disturbo, la lunga durata ed il rischio di comportamenti autolesivi è bene rivolgersi il prima possibile ad uno specialista per impostare il trattamento più adeguato alla propria condizione clinica.
Riferimenti bibliografici:
Starcevic A et al (2015). Brain changes in patients with posttraumatic stress disorder and associated alcoholism: MRI based study. Psychiar Danub 27(1): 78-83.
Weiss NH et al (2014). The underlying role of posttraumatic stress disorder symptoms in the association between intimate partner violence and deliberate self-harm among African American women. Compr Psychiatry [Epub ahead of print].
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Dott.ssa Tiziana Corteccioni

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